La distruzione dei monumenti e della memoria

Durante la Seconda Guerra Mondiale una grande quantità di beni culturali furono danneggiati a causa dei bombardamenti, oppure vennero trafugati e trasferiti in Germania, in attesa dell’inaugurazione del Führermuseum a Linz. Adolf Hitler, infatti, aveva ordinato ai soldati tedeschi di asportare dai territori occupati i dipinti, le sculture e tutte quelle opere, a cui veniva attribuito un valore artistico o storico, e di nasconderle provvisoriamente fino al termine della guerra; aveva stabilito, inoltre, che avrebbero dovuto distruggere quei capolavori, qualora egli avesse perso la vita. Per questo motivo circa 86 000 pergamene dell’archivio storico di Napoli finirono bruciate dalle SS svanendo per sempre. Numerosissimi furono i tesori sottratti all’Italia: una stima, che tiene conto di tutta l’Europa, ne ha individuati in totale 650 000. Negli anni seguenti alla guerra, molte opere vennero restituite, in particolare grazie all’intervento dei “Monuments Men” (1); altrettante risultano disperse ancora oggi. È emblematico il caso di alcuni preziosi dipinti provenienti da Firenze, entrati illecitamente in possesso del collezionista e mercante croato Ante Topic Mimara nel 1949, ora esposti nel Museo nazionale di Serbia a Belgrado, che non intende restituirli (2). L’Ultima cena di Leonardo da Vinci sopravvisse per miracolo ai bombardamenti del 1943, che distrussero la chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano che la custodiva. Una sorte ben peggiore spettò, invece, al secondo monastero più antico d’Italia, l’Abbazia di Montecassino nel Lazio, che nel maggio 1944 fu quasi rasa al suolo dalle forze alleate, le quali sospettavano che l’artiglieria nazista si nascondesse al suo interno.

Fotografia dell’Abbazia di Montecassino dopo i bombardamenti delle forze alleate (Archivio storico digitale “Patria Italia” del Movimento Irredentista Italiano):

Compiendo un salto temporale di cinquant’anni, si arriva a un altro esempio di distruzione di un monumento che rappresenta la storia di una comunità. Si tratta del Ponte Vecchio (Stari Most) nella città di Mostar in Erzegovina, costruito dall’architetto ottomano Hajrudin Mimar nel 1557, demolito a colpi di cannone dall’artiglieria croato-bosniaca nel 1993, durante la guerra fra le tre nazionalità bosniaca musulmana, croata e serba. L’abbattimento del ponte non era necessario dal punto di vista strategico e militare, considerando che aveva un uso esclusivamente pedonale e che congiungeva due parti abitate da musulmani; l’obiettivo reale era la distruzione psicologica della popolazione bosgnacca. Nel verdetto contro i sei vertici della Comunità Croata di Herceg-Bosna, responsabili dell’accaduto, il Tribunale dell’Aia sostenne che «la distruzione dello Stari Most rappresenta una violazione delle leggi e delle consuetudini di guerra […] un atto cosciente da parte degli autori che miravano a distruggere l’identità culturale attraverso la distruzione materiale e l’avvilimento della popolazione» (3). Il ponte è stato ricostruito undici anni dopo la guerra, ma «non unisce più, è diventato la metafora dell’opposto» (4).

Giungendo a tempi sempre più vicini a noi, un altro episodio di razzia di guerra, che ha come oggetto le vestigia di un Paese, è rappresentato dal saccheggio e dall’incendio del museo archeologico di Baghdad da parte dei soldati statunitensi, quando questi ultimi invasero, nel 2003, l’Iraq per destituire il presidente Saddam Hussein e prendere il controllo del territorio. Soltanto dal museo vennero trafugati circa 15 000 reperti, di cui in seguito meno della metà fu recuperata; numerosi furono anche le razzie e i danni eseguiti direttamente nei siti archeologici, a cui si aggiunsero i furti dei contrabbandieri iracheni. Alcuni di quei tesori mesopotamici sono finiti in vendita online e si possono acquistare per cifre irrisorie (poche decine di dollari) se confrontate al loro valore reale (5).

Si potrebbe continuare all’infinito la rassegna delle rapine e delle distruzioni dei monumenti, avvenute nelle varie epoche in ogni parte del mondo. Qui ne sono state citate alcune a titolo d’esempio, per ricordare come questo tipo di crimini di guerra rappresentino delle vere e proprie armi di distruzione dell’identità di un popolo, andando a colpire le opere architettoniche e artistiche depositarie della sua memoria. Dobbiamo, perciò, avere cura del nostro patrimonio culturale, in quanto custode della nostra identità.

(1) I “Monuments Men” furono 345 volontari, tra cui direttori museali, curatori, storici dell’arte, artisti, architetti e insegnanti, incaricati della missione militare di protezione e di recupero delle opere d’arte nelle zone di guerra in Europa. Cfr. Edsel R.M., Monuments Men: Missione Italia. La sfida per salvare i tesori dell’arte trafugati dai nazisti, Milano 2014.

(2) I dipinti fiorentini, ora esposti al Museo nazionale di Serbia a di Belgrado, sono: Ritratto di Cristina di Danimarca di Tiziano; Madonna con bambino e donatore di Tintoretto; San Rocco e San Sebastiano di Carpaccio; Madonna col bambino di Veneziano; Madonna con bambino in trono di Paolo di Spinello Aretino; Adorazione del bambino con angeli e santi della Scuola ferrarese; Madonna con bambino, Santi, Annunciazione e Crocifissione di Paolo di Giovanni Fei. Cfr. Galullo R., Mincuzzi A., La Serbia tiene in ostaggio otto capolavori italiani trafugati da Hitler, in Dossier Fiume di Denaro: I traffici illeciti dell’arte, «Il Sole 24 ore» (5.12.2017) online.

(3) Citazione tratta da Nuhefendić A., Mostar: il Vecchio, venti anni dopo, Progetto europeo Racconta l’Europa all’Europa dell’Osservatorio Balcani e Caucaso – Transeuropa (7.11.2013) online.

(4) Ibidem.

(5) Samuel s., It’s Disturbingly Easy to Buy Iraq’s Archeological Treasures. U.S. forces invaded the country 15 years ago this week ̶ and left behind a booming trade in looted artifacts, «The Atlantic» (19.3.2018) online.

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta nei «Quaderni di it-Historia» (nr. 2 del 5.9.2019). La serie è stata interrotta, pertanto l’articolo viene riproposto in questa sede.

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