La romanizzazione della Venetia et Histria: alcuni aspetti

Dibattito: la romanizzazione della Venetia et Histria

La prima volta in cui il termine romanizzazione (nell’equivalente francese romanization) è stato usato nel senso di processo di assimilazione dell’Impero a Roma risale probabilmente già al 1833, quando lo storico Jules Michelet ne fece uso nella Histoire de France (Desideri 1991). In seguito non sono mancate riflessioni sul tema da parte degli storici dell’Ottocento e del Novecento, anche se spesso è venuta meno una prospettiva storiografica adeguata. Theodor Mommsen, per esempio, condizionato dal clima politico contemporaneo, riteneva che la condotta espansiva romana si configurasse come un imperialismo difensivo e che vi fosse un progetto da parte della classe dirigente di romanizzazione delle popolazioni barbare conquistate; la sua visione unilaterale di tale fenomeno è opinabile, in quanto non contempla alcuno scambio tra le due parti. Un altro esempio di prospettiva incongrua è quella della storiografia razzistica ottocentesca e novecentesca, per la quale l’imperialismo romano assurgeva a modello di quelli contemporanei; così Francis John Haverfield nel 1905 pubblicava The Romanization of Roman Britain, prima opera di sintesi a riportare il termine romanizzazione nel titolo, nella quale ci sono continui confronti tra l’Impero romano e quello britannico, entrambi elevati a una posizione predominante rispetto agli altri popoli. A partire dagli anni Settanta del Novecento si cominciò a contestare la categoria di romanizzazione; l’antichistica postcoloniale, per esempio, introdusse quella di resistenza delle culture indigene. Il dibattito non si è ancora concluso, anzi recentemente è stato alimentato da tendenze radicali, che talora attribuiscono alle popolazioni autoctone un ruolo di opposizione così forte, che le espone a essere contestate a loro volta (Bandelli 2009).

Lo storico ed epigrafista Theodor Mommsen
Lo storico ed epigrafista Theodor Mommsen

Gli studi riferiti alla Venetia orientale, all’Histria e all’arco alpino orientale

Gli storici cominciarono a riflettere sulla romanizzazione fin dalla prima metà dell’Ottocento; in considerazione della vastità della bibliografia prodotta sinora, si tralasciano volutamente gli studi datati e superati, menzionandone invece i più recenti, tra quelli che concernono l’ambito geografico suddetto.

Nel 2008 si è svolta la XXXIX Settimana di Studi Aquileiesi, dedicata agli aspetti e ai problemi della romanizzazione nella Venetia, nell’Histria e nell’arco alpino orientale (Cuscito 2009). Tra gli Atti vi è la comunicazione, corredata da una ricca bibliografia, di Claudio Zaccaria (2009), contenente una sintesi sulla documentazione epigrafica utile per la ricostruzione di alcuni aspetti della romanizzazione nell’Italia nordorientale, quali per esempio le forme e le modalità dell’assunzione da parte delle popolazioni indigene del sistema onomastico romano, la sopravvivenza nell’epigrafia latina di elementi onomastici epicori, il rapporto tra coloni e indigeni, e così via. Nello stesso volume, le note sulla categoria di romanizzazione di Gino Bandelli (2009), anch’esse accompagnate da una consistente bibliografia, evidenziano come non manchino questioni antichistiche e ideologiche sulle quali è possibile tornare a riflettere, cambiando però l’angolazione da cui impostare l’esame ed evitando soprattutto di riproporre letture «già presenti (o implicite) in opere del passato». Il dibattito su tali problematiche è tuttora aperto.

Nel 2014 si è tenuto il convegno “Trans Padum … usque ad Alpes. Roma tra il Po e le Alpi: dalla romanizzazione alla romanità”, al quale è seguita la pubblicazione degli Atti (Cresci Marrone 2015). In tale occasione, da una parte è stato presentato un documento inedito, che ha permesso di approfondire alcuni aspetti del processo di romanizzazione in area transpadana, dall’altra sono stati investigati aspetti economici, prosopografici, istituzionali, acculturativi e storiografici. È di particolare importanza il contributo che lo studio del nuovo documento fornisce al dibattito in questione, perché amplia le conoscenze sul problema della persistenza di pratiche onomastiche locali. Si tratta di un frammento di una forma, ossia di un documento grafico di natura catastale, rinvenuto nel 1999 all’interno del criptoportico del Capitolium di Verona e datato fra l’89 e il 42 a.C., sul quale è iscritto un testo che elenca nove formule onomastiche maschili, accompagnate dalle misure delle superfici delle rispettive proprietà terriere: le basi onomastiche celtiche, dato l’ambito geografico, sembrano indicare un’appartenenza al gruppo cenomano. Questo documento, quindi, potrebbe rappresentare un caso di coesistenza di regimi di proprietà fondiaria soggetti a differente condizione giuridica in una fase in cui il processo di romanizzazione non era ancora giunto a termine. Anche se non riguarda specificamente l’area geografica suddetta, ma più in generale tutta l’Italia settentrionale, il volume della mostra “Brixia. Roma e le genti del Po. III-I secolo a.C. Un incontro di culture” (Malnati, Manzelli 2015), tenuta dal 9 maggio 2015 al 15 febbraio 2016, fornisce altrettanti contributi preziosi; vi si trovano saggi, che ripercorrono i momenti della romanizzazione oppure che ne esaminano alcuni aspetti, circa 250 schede, alcune delle quali su materiali finora inediti, e una bibliografia aggiornata.

Particolare della forma di Verona
Particolare della forma di Verona (immagine rielaborata da Cresci Marrone 2015).

Questioni aperte

Come già detto, restringendo l’ambito geografico alla Venetia et Histria e all’arco alpino orientale, non mancano questioni antichistiche da riesaminare.

Un primo aspetto da non trascurare è che il processo di romanizzazione, inteso come fenomeno di riduzione a unità politica e omogeneità culturale di un insieme di popoli assoggettati da Roma, si è svolto con modalità, livelli e tempi diversi a seconda delle popolazioni interessate (Desideri 1991). Differenze si riscontrano anche considerando una regione limitata nello spazio, come quella dell’Histria, dove, dopo la conquista romana, il ritmo dell’acculturazione fu diverso a seconda dell’area. Theodor Mommsen (CIL V, 1, p. 44) confrontava le iscrizioni rinvenute lungo la costa istriana con quelle della zona interna di Piquentum (Pinguente): in entrambi i casi si tratta di epigrafia latina con l’indicazione della gens e dei duo o tria nomina, ma nell’agro pinguentino si mantennero i gentilizi terminanti in –icus e –ocus di origine illirica; Mommsen evidenziò così che il processo di romanizzazione aveva raggiunto un livello diverso nelle due aree istriane (Bandelli 2009).

Un altro aspetto da non trascurare è il superamento della definizione unilaterale, che non contemplava lo scambio tra la cultura romana e quella indigena.

È esemplificativo il caso del graffito su frammento di coppa in ceramica grigia, recuperato in mare al largo di Marano Lagunare (Crevatin 2001): l’iscrizione ]go Geminio[i è in alfabeto venetico, ha andamento sinistrorso e presenta il dativo di possesso (Geminioi) caratteristico della lingua venetica, mentre Geminius è certamente un nome di origine latina; si può pensare, quindi, che il Geminio proprietario della coppa fosse un elemento italico portatore di cultura romana che si era venetizzato. Abbiamo anche testimonianza di “Romani istricizzati”: da una località non lontana da Rovigno, nell’Istria meridionale, provengono infatti due monumenti gemelli di una famiglia di immigrati italici, uno con dedica a Fortuna, che documenta l’importazione di un culto, l’altro con dedica a Histria, una divinità locale (Zaccaria 2009).

Questo fenomeno inverso, tuttavia, scomparve progressivamente. Un’altra problematica è quella della persistenza di pratiche onomastiche locali. Studi in questa direzione sono già stati condotti per quanto riguarda sia la Venetia, come nel caso del frammento di forma già citato, sia l’Histria.

Graffito su frammento recuperato a largo di Marano Lagunare (immagine tratta da CREVATIN 2001).
Graffito su frammento recuperato a largo di Marano Lagunare (immagine tratta da CREVATIN 2001).

Relativamente a quest’ultima, nel territorio di Trieste, in un ambiente dove il processo di romanizzazione era stato molto precoce, la conservazione di elementi onomastici autoctoni è stata dimostrata grazie al riesame di alcuni materiali editi della necropoli di San Servolo: il nome Valens, in uso con una certa frequenza dalla popolazione indigena prima della romanizzazione, continuò a essere impiegato nelle iscrizioni dall’élite locale che d’altra parte faceva uso di canoni e formulari romani, dando prova del livello di acculturazione raggiunto (Mainardis 2006).

In aggiunta alle questioni antichistiche summenzionate, un altro problema è l’influenza delle tre viae publicae Postumia, Popilia e Annia sui processi di acculturazione romana nella Venetia orientale. Le tre vie, che furono costruite intorno alla metà del II secolo a.C., permisero di raggiungere agevolmente la Venetia: indubbiamente furono costruite con finalità militari, ma molto presto assunsero anche una funzione economica, in quanto permettevano lo scambio commerciale con la Gallia Cisalpina; inevitabilmente le tre vie favorirono l’incontro di diverse culture, come sembrano testimoniare i dati archeologici, e il bilinguismo.

Anche se l’indagine è già stata avviata grazie all’ausilio dell’epigrafia e della linguistica, una problematica ancora irrisolta è rappresentata dalla possibile persistenza di magistrature “indigene” nella Venetia, in un periodo in cui la romanizzazione è stata progressiva e irregolare. Un altro fenomeno su cui il dibattito non è ancora concluso è quello dell’ascesa al senato romano di membri dell’aristocrazia coloniaria e del notabilato indigeno. Un problema che riguarda anche l’Histria è, invece, la sopravvivenza e la rifunzionalizzazione dei culti locali, che non venivano repressi, se giudicati non pericolosi; ad Aquileia, per esempio, si continuò a venerare divinità come Timavus-Temavus e Belenus-Belinus, mentre in Histria non si smise di praticare i culti di Boria, Eia, Histria, IriaVenus, Ica e così via.

Bibliografia

Bandelli G. 2009, Note sulla categoria di romanizzazione con riferimento alla Venetia e all’Histria, in Cuscito G. 2009, 29-69.

Cresci Marrone G. (cur.) 2015, Trans Padum … usque ad Alpes. Roma tra il Po e le Alpi: dalla romanizzazione alla romanità, «Atti del Convegno, Venezia 13-15 maggio 2014», Roma.

Crevatin F. 2001, Le iscrizioni venetiche del Friuli, in Bandelli G., Fontana F. (curr.), Iulium Carnicum, centro alpino tra Italia e Norico dalla protostoria all’età imperiale, «Atti del Convegno, Arta Terme-Cividale, 29-30 settembre 1995», «Studi e Ricerche sulla Gallia Cisalpina» 13, Roma, 115-125.

Cuscito G. (cur.) 2009, Aspetti e problemi della romanizzazione. Venetia, Histria e arco alpino orientale. «Atti della XXXIX Settimana di Studi Aquileiesi, 15-17 maggio 2008», «Antichità Altoadriatiche» 68, Trieste.

Desideri P. 1991, La romanizzazione dell’Impero, in Storia di Roma, II, Torino, 577-626.

Mainardis F. 2006, Val(ens): sulla forma di un nome nell’abitato romano di San Servolo, in Faraguna M., Vedaldi Iasbez V. (curr.), Δύνασθαι διδάσκειν. Studi in onore di Filippo Càssola per il suo ottantesimo compleanno, Trieste, 297-310.

Malnati L., Manzelli V. (curr.) 2015, Brixia. Roma e le genti del Po. Un incontro di culture. III-I secolo a.C., Catalogo della mostra, Firenze 2015.

Zaccaria  C. 2009, Romani e non Romani nell’Italia nordorientale: la mediazione epigrafica, in Cuscito G. 2009, 71-108.

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta nei «Quaderni di it-Historia» (nr. 1 del 2.3.2019). La serie è stata interrotta, pertanto l’articolo viene riproposto in questa sede.

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